di Elsa Berardi
“Quant’era mejo quann’era peggio…”. È la confessione che annuncia spesso la fine di un dibattito accorato tra anziani, di uno di quelli che, frequentemente, agli occhi di un giovane appaiono posticci, non essendo fondati su una pluralità di posizioni e sterili, poiché è ormai da considerare sana e lecita una buona parte degli atteggiamenti, delle preferenze e degli stili di vita che un tempo si liquidavano come chimerici e incomprensibili.
Chi avrebbe voluto, ad esempio, anche solo negli anni Novanta, che una ragazza scegliesse di privilegiare la carriera rispetto alla famiglia o, ancora, di equilibrare i due ecosistemi?
A domanda retorica, risposta coincisa: davvero poche persone, le più consapevoli del carattere nocivo di ogni imposizione, anche di quelle lanciate in buona fede. Se, quando l’amore reciproco non basta a farlo, la concezione di famiglia non è giustificata, essa potrebbe restare, per chi subisce l’imposizione di crearsene una, un dubbio, e di conseguenza un incubo, quando invece imboccare, cucchiaino a cucchiaino, chi sarà in grado di custodire se stesso, circondato dal nostro orgoglio, anche in futuro è una tra le massime soddisfazioni a cui aspirare. Ma è davvero possibile dedicarsi alla crescita di un figlio quando si è anche al vertice della parabola ascendente della propria carriera?
Per una mamma (ma anche per un papà) è particolarmente difficile ma soddisfacente, anche se, nel nostro Paese, qualcuno non sembra essersi reso conto di come la nascita di un nuovo abitante arrechi beneficio e linfa vitale al suo nucleo familiare: l’impennata di licenziamenti delle neomamme è purtroppo un dato certo, ma non mancano le aziende lungimiranti che associano l’arrivo di un bimbo ad una fonte di “aria pulita” e salutare per le lavoratrici, nonché ad una novità benefica e fruttifera per le sorti dei loro incarichi.
Kinder, che da anni respira il binomio tra l’immutabilità delle preferenze alimentari dei consumatori dei suoi prodotti e il cambiamento continuo della filosofia di massa e dei costumi della società, non ha potuto esimersi dal rappresentare, nell’ultimo spot di Fetta al latte, un prodotto di punta dell’azienda dolciaria dal 1991, una dolcissima scena familiare che vede, come protagonista indiscussa, una smart worker a cui la dedizione alla carriera non ha tolto l’apprensione e le premure verso il figlioletto appena svegliato. Su un gesto icastico, che simula, attraverso la posizione orizzontale delle dita, pollice escluso, lo spessore della merendina farcita di crema al latte e miele, si fonda la complicità che accompagna i due “colazionandi” in una mattina che sembra essere pienamente ordinaria, senza alcuna originalità che infranga la ritualità delle tabelle di marcia giornaliere. È così che Kinder rivaluta i gesti semplici e quotidiani, l’operosità dei genitori e l’intraprendenza dei più piccini, sempre più spesso presentati dal piccolo schermo come attivi, curiosi e fedeli, in queste caratteristiche, all’intelletto creativo tipico dei nativi digitali.
I bambini non sono follia, ma passione; non sono spirito abitudinario, ma tornano sempre dove sono stati bene; non sono divagazione, ma avventura: Kinder cioccolato omaggia, ancora una volta, l’assertività dei suoi consumatori in erba anche di fronte alle regole e alle consuetudini, promuovendo l’assecondare delle passioni più vere da parte dei genitori e, al contempo, l’inserimento facile in un contesto sociale eterogeneo ma non per questo senza equilibrio.
La piccola star dell’ultima pubblicità delle celebri barrette al cioccolato al latte, in onda dallo scorso anno, è un vivace aspirante paleontologo, che non abbandona il suo costume da tirannosauro nemmeno per seguire la sorella maggiore a scuola e per frequentare il suo corso di nuoto. La mamma e il papà cercano di dissuaderlo dalla sua volontà di non uniformarsi almeno nei contesti in cui adeguarsi alle norme e alle consuetudini è fondamentale e saggio (chi non mollerebbe la sua clutch preferita e i tacchi per fare un’escursione in montagna?), ma comprendono che, anche a chi viene semplice adattarsi agli schemi, nasconde nel suo profondo una tenera ribellione da coltivare con la conoscenza. D’altra parte, qualcuno più famoso di me (e che per inciso, non ha frequentato il Colasanti, ma forse, con questa sua massima, ha predetto la sua istituzione!) affermava che gli educatori sono, per ogni uomo, i primi liberatori… Ottimo lavoro, agenzia pubblicitaria Leo Burnett!
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