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Kintsugi: come le vittime del dolore possono rinascere con la bellezza

di Ludovica Parisi

In Occidente, quando un oggetto si rompe, siamo abituati a gettarlo, e la sua vita termina lì, non c’è possibilità di recuperarlo. Il nostro sfrenato consumismo ci porta a comprarne un altro, uguale, nuovo, privo di storia, pronto per essere utilizzato. Ma in Giappone non è così: la rottura di un oggetto è preziosa e viene valorizzata attraverso la tecnica del Kintsugi. Il termine Kintsugi può essere tradotto letteralmente con riparare con l’oro.
È una tecnica antichissima, risale al XV secolo e viene tuttora usata dai ceramisti giapponesi che, grazie alla lacca urushi, uniscono i pezzi e danno vita ad un nuovo capolavoro, bellissimo, ricco di imperfezioni che vengono valorizzate e rese visibili, e che narrano una storia unica.

Le linee di rottura, prima stuccate e poi carteggiate, vengono rifinite a pennello con lacca urushi rossa su cui si lascia cadere la polvere d’oro. Le crepe restano così in evidenza e ne aumentano il valore.
Lo scopo di questo tipo di operazione non è quello di nascondere il danno ma di enfatizzarne la bellezza riparandolo e mettendolo in risalto contemporaneamente.
Dal punto di vista artistico, il pezzo riparato risulterà così migliore dell’oggetto nuovo e sarà considerato più prezioso, sia per la presenza dell’oro o dell’argento, sia per la sua unicità.

Il risultato di questo processo è qualcosa di unico e ci insegna una lezione di vita meravigliosa.
Ci insegna che la nostra storia, le ferite che ci hanno portato ad essere ciò che siamo oggi non sono qualcosa da dimenticare, da eliminare perché troppo dolorose o difficili da riparare. Al contrario rendono le nostre anime più belle, preziose e piene di storie da raccontare. Le cicatrici ci rendono incredibilmente veri e vivi e raccontano di noi.
Il Kintsugi ci insegna la resilienza e l’importanza del crescere attraverso le nostre esperienze negative traendone sempre una lezione di vita, pronti a splendere di nuovo.

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